Un vero punto di riferimento culturale e storico che ben rappresenta la storia del nostro territorio dal 1865. Allora si chiamavano in modo diverso da oggi. Prima “punti di riferimento” poi “frasche” e infine “osterie”. A testimoniare la longevità di questa “bomboniera del passato” le vecchie foto appese al muro, in fondo alla sala principale, arredata con semplicissima cura, pulita e sobria.
La prima a sinistra ritrae Pietro, il nonno di Gino Gallina, l’attuale gestore, classe 1941. È un uomo con i baffoni stile ottocentesco, abbottonato in una splendida divisa militare. Alla sua sinistra il papà di Gino, Giovanni, che l’ha gestita per 55 anni. Dopo le foto un vecchio ma funzionante orologio scandisce le ore.
“Quande che tu mor cavon l’orolojo e meton su la to foto… i me à dita cusì” (Quando morirai toglieremo l’orologio e mettiamo su la tua foto, mi hanno detto così ) scherza la siora Beppa, l’arzilla moglie del gestore, una grinta da vendere, il sorriso sempre acceso su quelle gote che danno il senso della cuoca casalinga pronta a servire un buon bicchiere di Cartizze, un tagliere di affettato con un pane che sembra appena uscito dal forno o un buon caffè corretto.
“Vede quella foto lassù?” dice, indicando un bambino con i riccioli -. “È il mio Gino all’età di sette anni”. Lui si avvicina e teneramente si stringono per una foto ricordo. Sembrano due ragazzini innamorati.
Se i “casoin” rappresentano per le Colline di Conegliano-Valdobbiadene e l’intero territorio l’ossatura e la storia, le osterie, quelle più antiche ne rappresentano l’anima. Un caso su tutti è l’osteria Gallina, a Santo Stefano di Valdobbiadene, senza ombra di dubbio la più antica, non solo delle Colline promosse dall’Unesco, ma di tutta la Sinistra Piave.
Il vigneto ha una pendenza da brivido e la Beppa ne sa qualcosa: quattordici anni fa perse l’equilibrio, durante la vendemmia, rotolando rovinosamente per decine di metri.
Arrivò l’elicottero del Suem. Non potendo atterrare era necessario calare il medico per i primi soccorsi con il verricello, fu usato anche un fumogeno per indicare meglio la posizione della sfortunata signora che si fratturò un paio di vertebre: “Ho fatto dieci giorni di ospedale, poi una lenta convalescenza e pian pianino mi sono rimessa in piedi”.
Un’altra vecchia foto testimonia la longevità di questo locale: è la foto del cinquantesimo di matrimonio di Giovanni Gallina, papà di Gino: “Prima di mio suocero Giovanni c’era suo padre e questo ci porta alla fine dell’Ottocento. Questa osteria era qui durante la Prima e la Seconda guerra mondiale. Oggi siamo ancora qui, cerchiamo di tenere duro e andare avanti, anche se la battaglia più dura è quella con la burocrazia”.
Il patrimonio dell’umanità, le colline dell’Unesco sono rappresentate da questa gente, da questi luoghi nascosti e da scoprire come in una caccia al tesoro oppure rovistando in un vecchio baule in soffitta. La storia, la cultura e la tradizione venete si intrecciano in un luogo come questo e danno vita ad una poesia senza tempo, da conservare con gelosa cura perchè rappresentano la nostra essenza, la nostra identità più genuina. Il vero Patrimonio dell’Umanità..
A fianco del locale il prezioso vitigno. È sempre rimasto uguale da allora, a testimoniare il binomo tra accoglienza, rappresentata dall’osteria con cucina, e il lavoro della vite che, grazie a questo frutto della terra, ha reso famoso nel mondo questo territorio da cui trasuda veramente l’Umanità di chi lo vive e lo abita da secoli.