Il Monastero di clausura di San Giacomo di Veglia

Il Monastero di clausura di San Giacomo di Veglia

Le origini di questo monastero affondano le loro radici nel lontano medioevo.

Baldovino, decano del Capitolo della chiesa di Belluno, coll’assenso del vescovo di Feltre, ai 13 di maggio 1212, da una donazione a Donna ACEGA di Belluno, la chiesa di SS. Gervasio e Protasio con tutta la terra e circuito relativo e diritti annessi e ciò per il corrispettivo di una libra d’incenso alla Cattedrale nella festa di S. Martino.

La Pace e la Serenità della Clausura di San Giacomo di Veglia

All’epoca collaboravo con il settimanale di Vittorio Veneto “L’Azione” e il direttore di allora, Don Giovanni Dan, mi chiese di fare un servizio fotografico sulle suore di clausura di San Giacomo di Veglia. Accettai con slancio poiché sapevo quanto fosse difficile solo entrare in un convento di clausura, tanto più quanto fosse difficile e complicato scattare delle fotografie in tale luogo. Mi fu preparato il consenso dall’allora Vescovo di Vittorio Veneto Mons. Ravignani. Quando entrai, c’era un senso di pace e di serenità che avvolgeva tutte le cose, un piacevole silenzio interrotto solamente dal canto di qualche merlo o usignolo, o dai passi veloci di qualche sorella che si affrettava. Sembrava un meraviglioso salto nel passato. Dopo aver avuto il consenso della sorella responsabile, mi aggirai per il convento scattando delle foto per me indimenticabili che condivido oggi pubblicamente. Non le ho mai pubblicate, al di fuori dell’ “Azione” per un profondo senso di rispetto verso queste sorelle. Lo faccio oggi, sicuro che, a oltre trent’anni da quando le ho realizzate, queste foto, fatte con estremo rispetto ed umana ammirazione, non andranno ad infastidire nessuna delle suore qui ritratte. (foto e testo di Pio Dal Cin)

Cenni storici (Testo tratto dal libro “Ordine Cistercense”)

Delle Abradesse, il primo nome che si conosce è quello di Donna Benedetta (1268-1272). Tra gli Abati Commendatari, il monastero ebbe, come superiore regolare, anche S.CARLO BORROMEO. Varie furono le calamità che il convento ebbe a subire attraverso i secoli. Nel 1493, un incendio lo distrusse quasi completamente. Nel 1509, Massimiliano d’Austria, entrando vincitore a Belluno, impose al monastero forti contributi di guerra che si dovettero questuare per scampare al pericolo del saccheggio. Nel 1510, durante una grande carestia che colpì il bellunese, le monache si privarono del necessario sostentamento per soccorrere bisognosi e affamati. Con la soppressione degli Ordini religiosi (1810), anche il nostro monastero subì la stessa sorte, ma per pochi anni. Mentre prima della soppressione, le monache erano ventinove, nel 1810, anno della ripresa raggiunsero il numero di cinquanta, tra professe e novizie, con oltre venti educande. Per interessamento del Rev.do Mons. Benedetti si riuscì ad intravedere qualche nuova possibile sede, in S. Giacomo di Veglia, due barchesse di proprietà dei CONTI GROTTA di Venezia che erano state messe all’asta. Arrivò quanto mai inaspettato un lascito della sorella di un monsignore, che moriva a Belluno; la somma esatta per l’acquisto e per un primo adattamento dell’edificio a monastero. Triste fu la festa di S. Chiara in quel lontano 1909! Con due diligenze, la M. Abbadessa, Donna Giovanna RENIER, trasferiva le sue monache nella presente sede di S. Giacomo di Veglia. Dopo sette secoli di permanenza, le nostre monache lasciavano Belluno. Nello stesso giorno venivano accolte, a S. Giacomo di veglia dalla popolazione in festa. Quella sera le campane suonarono a distesa per salutare l’insolito avvenimento. Dopo tante dolorose vicende, la vita monastica riprese con il suo solito ritmo, scandito serenamente nell’ORA et LABORA di ogni giorno. A pochi anni dalla felice ripresa, il primo conflitto mondiale coinvolse nel suo vortice anche il pacifico cenobio cistercense. Con la disfatta di Caporetto, gli invasori si stabilirono in casa nostra. Occuparono tutto un annesso del monastero, ma per visibile protezione divina, non recarono mai molestia alle monache. Negli ultimi giorni del conflitto, i combattimenti aerei si facevano proprio sopra il monastero. Una sola bomba incendiaria cadde nel solaio e si limitò a bruciacchiare un piccolo deposito di legna. Al momento della ritirata, nessun danno! Soltanto i vinti, buongustai di opere d’arte, fecero tabula rasa di tutte le pitture, mobili di antiquariato e biancheria di pregio. Nel 1905-1945 le monache ripeterono la terribile esperienza. Questa volta il nemico si servì del monastero solo come deposito per i camion da trasporto. L’ultimo giorno della resistenza, in paese, dove si erano istallati i partigiani, arrivò una colonna di SS. Tedesche. Dall’alto, gli aerei italiani sorvegliavano le operazioni. La popolazione di S. Giacomo era sfollata. Le monache rimasero sole e indifese, ma animate da una grande fiducia in Dio. La battaglia s’ingaggiò proprio nei pressi del monastero. “Sulle nostre teste – riferisce una monaca – le palle dei cannoni tedeschi s’incrociavano con quelle dei partigiani. E gli aerei italiani bombardavano….. Dalle colline limitrofe c’era chi seguiva le fasi del combattimento e diceva: – Le monache saran tutte morte! –“ Un Padre francescano di Vittorio Veneto, appena potè muoversi, volle farne constatazione. E venne al monastero. Trovò le monache spaventate, ma tutte salve. L’edificio se la cavò con qualche vetro rotto! Tanto fu grande, anche questa volta, la protezione del Cielo! Forte l’intesa tra comunità parrocchiale e comunità monastica.

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