Viaggio sul Piave: lungo il fiume sacro tra storia e natura

Viaggio sul Piave, da madre feconda a testimone di guerra

Monumenti e panorami si alternano nella suggestione. Che siano in corso le commemorazioni del centenario della Grande Guerra,  se  ne  sono  accorti  anche  i più distratti. Che fra tre anni si susseguiranno quelle per ricordarne  l’epilogo,  più  doloroso che vittorioso, è certo e necessario. Quel che forse è meno scontato è che il doveroso celebrare la memoria di chi ci ha preceduto possa anche diventare un opportuno stimolo per salvaguardare  il  futuro.  E  non  si  parla, qui, di come ricordare la guerra sia indispensabile per costruire la pace. Bensì di quel fiume che prima di quella guerra era madre (La Piave), e dopo il troppo sangue di cui si sono tinte le sue acque  è  diventato  il  fiume  sacro, poiché Gabriele D’Annunzio gli riconobbe «potenza maschia» nella resistenza al nemico. Non può essere certo la volontà di un poeta-soldato a cambiare la natura di un fiume, che madre generosa e severa resta. Con le sue bizzarrie e le sue meraviglie. Con il suo letto troppo spesso prosciugato non tanto dal suo carattere torrentizio, quanto  dalla  produzione  agricola e industriale. Con i suoi argini fragili e le sue piene rabbiose che sembrano ribellarsi alla cecità umana. Ma anche con le sue suggestioni e con le passioni che sollecita, grazie alle quali molto è  stato  fatto  per  preservarne incantevoli scorci.

L’Isola dei Morti. Un toponimo indelebile per un centinaio d’ettari tra il versante settentrionale del Montello e il paese di Moriago della Battaglia. Di qui passarono le avanguardie dell’esercito italiano durante la battaglia di Vittorio Veneto. E vi morirono molti dei famosi ragazzi del ’99, a soli diciannove anni, i cui corpi furono qui ritrovati a migliaia, trascinati dalla corrente. Li ricorda una piramide, costruita negli anni Venti con i sassi del Piave, sulle pareti della  quale sono incisi i versidella “Preghiera di Sernaglia” di D’Annunzio. Nel 1965 l’allora monsignor Albino Luciani, futuro Papa, inaugurò la vicina chiesa-santuario (“Madonnina  dei Caduti del Piave”) e nella piazza intitolata ai ragazzi  del  ’99 si possono ammirare anche tre monumenti in pietra dello scultore Marbal: delizioso il suo giardino botanico-scultura nella vicina Fontigo. Ma, oltre ai monumenti e ai cimeli (e a un’attrezzata area ricreativa) in questo borgo che – prima del 1918 si chiamava “Isola Verde” – si può visitare una vera e propria  oasi che oltre alla memoria propone percorsi tematici, con un laghetto alimentato da una sorgente che crea un habitat ideale per uccelli acquatici e flora d’acqua e un orto botanico che raccoglie e illustra tutte le varietà di piante presenti nell’area. E poi c’è lui (o lei): il Piave, con il suo greto desolato, con i suoi ciottoli, i limi e le erosioni, che qui si affaccia al Montello. Due percorsi ben segnalati da cartelli portano fino a Vidor da una parte e all’oasi delle Fontane Bianche, dall’altra.

Vidor, tra grotte e fiume. L’Isola dei Morti è quasi al centro del percorso “La Grande Guerra da ponte a ponte” – ossia sui 30 chilometri della prima linea austroungarica tra Piave e Montello – sul quale le commemorazioni hanno saputo accendere i riflettori, inducendo i Comuni  interessati a restaurare trincee, manufatti bellici e l’accesso a grotte e a siti naturalistici. Il primo ponte che dà il titolo al progetto è quello di Vidor (l’altro  è  quello  di  Ponte  della Priula), paese dal cui centro si sale facilmente a Col Castello, con una piccola chiesa monumento ai caduti:  tra  la  vegetazione compare di tanto in tanto l’entrata di qualche grotta rifugio  dei  soldati,  segnalata  dai cartelli descrittivi. Oppure si può raggiungere Col Marcon, caratterizzato da punti di osservazione, dai quali la vista spazia dal Ponte di Vidor, più volte distrutto dalle piene del fiume (e nel 1917 abbattuto per impedire agli austriaci di oltrepassare la linea difensiva) fino al Monte Grappa, in un panorama dolcemente austero in cui spesso riaffiora il fiume. Nei pressi, ma non visitabile perché privata, c’è anche la trecentesca Abbazia benedettina di Santa Bona, gravemente danneggiata dalla guerra, i   cui monaci furono molto impegnati nelle opere di bonifica e organizzazione idraulica che ancora oggi “funzionano”, come ad esempio i Palù.

Tre strani arditi. Dall’Oasi delle Fontane Bianche si arriva facilmente nel centro di Falzè di Piave, completamente ricostruito dopo la guerra che lo ha raso al suolo e dove la memoria bellica ha le sembianze del monumento ai “Tre Arditi all’assalto” di Giovanni Possamai,  del 1921.  È  proprio questa data a farne un monumento dalla concezione totalmente diversa dall’ideale del periodo, con i tratti umani quasi spaventati dei tre soldati, tanto diversi dalle statue  d’ispirazione fascista che ci restituiscono militari imperturbabili e palestrati. Scendendo dalla piazza lungo il torrente Pedrè su un facile sentiero, s’incontrano due grotte bunker e ci si addentra nel sentiero Le Volpere, che alla valenza naturalistica aggiunge testimonianze  d’insediamenti del neolitico, prima di arrivare all’oasi delle Fontane Bianche.

La toponomastica di un fiume che non c’è. Comunque ci si muova, in prossimità del greto del Piave, il procedere si dipana in una toponomastica dell’eroismo (Nervesa della Battaglia,  Moriago della Battaglia, Sernaglia della Battaglia, Fagarè della Battaglia, Losson della Battaglia) e in un’infinità di riferimenti nei nomi delle vie intitolate a comandanti, generali, eroi, armate, battaglie. Per non parlare dei numerosissimi sacrari, monumenti, cimiteri di guerra. Quello che spesso non si trova, muovendosi lungo il Piave è proprio il fiume, materia prima per la produzione agricola e per quella d’energia elettrica. Ma se cominciasse a “produrre turismo” in modo significativo,  forse  riuscirebbe a meritare un po’ più di rispetto?

Passo Barca- La spiaggia che affaccia sul fiume. Oggi passo Barca è una delle “spiagge” più affollate nel periodo estivo, da cui si diramano interessanti percorsi, ben segnalati, che si addentrano negli ambiti golenali del fiume. Dal XIII secolo al 1970 è stato sia l’approdo del traghetto che collegava le due sponde del Piave (qui abbastanza vicine) e anche un vero e proprio porto particolarmente importante per la Serenissima, quando il commercio del legname costituiva l’attività economica principale lungo il corso del Piave e qui attraccavano imbarcazioni condotte dagli zattieri bellunesi, per consegnarle agli equipaggi trevigiani che le conducevano alla foce.

I Palù – Tra prati umidi e fossati. Il nome suggerisce l’antica presenza di una zona paludosa e, infatti, la zona dei Palù compresa tra i comuni di Sernaglia, Moriago, Vidor e Farra di Soligo, è più “bassa” delle zone circostanti. È un’area di prati umidi, fossati e piante perimetrali, frutto della bonifica operata dai frati benedettini nel XIII secolo, che ha mantenuto la caratteristica tipologia “a campi chiusi”, oramai quasi unica in Italia e in Europa (paragonabile ai “bocages” della Francia). A questo valore si aggiungono la ricchezza geologica dei depositi lacustri e quella archeologica del Castelik di Sernaglia (Età del bronzo), oltre a un ecosistema singolare.

Fontane Bianche- Le risorgive nell’oasi naturalistica. Non lontano dalla strada provinciale, una stradina che subito diventa sterrata conduce a un bosco a Fontane Bianche in una zona caratterizzata da risorgive. Qui è stata istituita un’oasi naturalistica fornita di un percorso attrezzato e ben illustrato, in una fitta vegetazione solcata da acque trasparenti e particolarmente fresche, con temperatura pressoché costante intorno ai 10° (almeno per un certo tratto della sorgente) che genera un microclima unico e, nelle giornate più calde, una suggestiva nebbiolina. L’oasi è anche collegata alla zona dell’Isola dei Morti da un sentiero che costeggia il fiume.

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